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Un po' di storia

"Roccia e Mistero" sulla Parete Calva a Rassa
Un po' di storia

La Parete Calva vista dalla strada per Meggiana

Su gentile autorizzazione dell'autore pubblichiamo questo articolo sulla Parete Calva, apparso sul "Notiziario n°1" del CAI Varallo del 1987. Il testo parla delle emozioni e delle esperienze vissute dagli alpinisti Dino Deiana e Martino Moretti durante l'apertura dei primi itinerari sulla parete in questione nel lontano 1984. Ci auguriamo che tale articolo possa dare il giusto risalto a questa suggestiva parete rocciosa, tra le più selvagge e impervie della Valsesia.

Buona lettura...

"Roccia e Mistero" di Dino Deiana

Salendo la strada che porta ad Alagna, giunti all'altezza di Quare bivio per Rassa si nota l'evidente sperone dove termina la parete Calva. Molti a questo sperone attribuiscono sembianze di volto umano e forse non a torto, considerando la storia e l'alone di mistero di cui questo luogo è portatore. La parete vera e propria si può notare benissimo da Piode. E' un anfiteatro di granito con forma di trapezio rettangolare, ha una base di circa 500m ed è alta circa 200m. L'esposizione a sud e la sua forma, che la ripara dalle correnti fredde, bastano a far si che con un pur minimo sole la temperatura raggiunga livelli gradevoli.

E' la prima parete vera e propria che si incontra salendo in Valsesia. Forse è per questo, proprio perchè è impossibile non notarla, spoglia dagli alberi di cui la terra circostante è ricca, che qualche viandante dei secoli addietro l'ha battezzata col nome che ci è noto, prendendo magari spunto da un problema estetico che l'affliggeva. Ma per esserne certi bisognerebbe correre indietro nella storia. Ci è noto, infatti, che nei primi anni del 1300 Fra Dolcino si rifugiò nel pianoro sommitale alla parete Calva per sfuggire ai suoi inseguitori. Il Pian dei Gazzari porta infatti questo nome perchè per circa un anno qui si rifugiarono i seguaci di Dolcino così chiamati. E' un punto strategico eccezzionale, facilmente difendibile da eventuali attacchi e da cui si possono controllare le mosse del nemico.

Anche alpinisticamente questa parete ha la sua storia avvolta di mistero.

Nel nostro ambiente corrono voci che in molti si era cercato di scalarla ma senza buoni risultati. Tempo fa una lettera anonima è stata recapitata a Martino dicendo che la nostra via non era la prima ma che già nel '36 qualcuno aveva salito la parete. Noi durante la nostra prima ascensione abbiamo trovato dei vecchi chiodi in un canalino marcio e impraticabile a chi ha coscienza alpinistica. Può darsi che allora fosse praticabile, ma l'erosione dell'acqua ha oggi cancellato la possibilità di una salita sicura. Questo canalino termina sotto a degli strapiombi per cui gli ipotetici salitori debbono aver raggiunto il pianoro sommitale attraverso delle cengie che in quel punto tagliano la parete verso sinistra.

Spinto da tanto mistero toccò anche a me arrivare alla base della parete per studiare qualche punto debole ma tornai a casa molto scettico sulle possibilità di ottenere buoni risultati in una ipotetica sfida con quegli strapiombi lisci e compatti. Tempo dopo, seppi che anche il mio amico Martino aveva avuto i miei stessi propositi. Unimmo le nostre forze e in un freddo mattino di novembre, con molto pessimismo in corpo, andammo all'attacco. Subito la parete si mostrò povera di appigli e fessure, da farci cambiare itinerario parecchie volte. ci volle molta umiltà per portare a termine il nostro progetto. Se "lei" era coriacea, noi non volevamo essere da meno. Al terzo tentativo riuscivamo a portare a termine la salita in arrampicata libera e con mezzi tradizionali. Per ben due volte tornammo a casa con la luce delle pile frontali e con molte spine in corpo, e non erano solo spine di rovo, quelle...!

Er il 19 febbraio 1984, quando visitammo per la prima volta il Pian dei Gazzari salendo per quell'imprendibile parete. In quei posti che videro uomini che sacrificarono la propria vita per i propri ideali di libertà e che influenzarono non poco la storia religiosa e politica di quei tempi, ci siamo sentiti obbligati di dedicare la via a Fra Dolcino.

Per noi, io e Martino, questo luogo ha qualcosa di sacro e parlando con molta gente abbiamo percepito un alone di religiosità nelle parole di queste persone. Vorrei invitare chi vi si reca ad avere rispetto per l'ambiente incontaminato che troverà, se non rispetto religioso almeno un rispetto ecologico.

La seconda via che in questa parete abbiamo tracciato, anche se tecnicamente più difficile della prima, l'abbiamo percorsa in tempi più brevi e con uno spirito diverso da quello che ci coinvolgeva nella prima salita. Solo una volta siamo tornati a casa respinti da un'impossibile chiodatura "sicura" in una placca compatta e repulsiva. Ma un caldo mattino di novembre questa volta ci ha resi ottimisti e coraggiosi e quel senso di pace e tranquillità, necessari per queste cose, ci veniva dai bellissimi colori autunnali da cui era dipinta la valle intorno a noi.

La placca che ci respinse venne superata non senza difficoltà, con una spontanea chiodatura costellata di acrobazie e imprecazioni e anche il seguito non fu da meno: ma, come vi ho già detto, quel giorno c'era un qualcosa di magico che ci circondava e ci fu impossibile tornare a casa senza aver concluso l'itinerario propostoci. Fu in una sosta in cui ero quasi appeso a due friends che gridai a Martino che la via andava a finire in quella di Fra dolcino e lui prontamente, in uno slancio di fantasia mi rispose: allora la chiameremo "Margherita va da Dolcino".

E così fu che venne battezzata la seconda via che percorre la parete Calva.

Adesso abbiamo interrotto l'alone di mistero alpinistico che avvolgeva questa parete. C'è l'alone storico che rimane ma quello non è compito nostro risolverlo, anche se ci piacerebbe saperlo risolto dagli storici e che giustizia fosse fatta su Dolcino e la sua gente.

Dino Deiana

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